Sci estroso

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Ritratto di maurizio
maurizio

Le 120 pagine circa di questo volumetto non piaceranno a tutti. Si tratta dello spaccato di una generazione di sci alpinisti toscani. Ci ritroviamo a leggere di imprese assai innovative per l'epoca (gli ultimi anni 80), ma si svelano anche particolari imbarazzanti, meschini rancori ed invidie, in un quadro nel complesso poco edificante dell'associazionismo alpinistico. Il CAI in particolare non ne esce molto bene, ma neanche i suoi dissidenti del gruppo "La Focolaccia".

In fondo si tratta solo di vita reale, dipinta senza falsi pudori: bisognerebbe avere più sovente lo sguardo disincantato dell'autore, anche se, una volta bene aperti gli occhi, si dovrebbe poter chiamare le cose con il loro nome (a beneficio dei lettori non iniziati).
«Tutti i giovedì, nelle due stanzette dell'Associazione, percepivamo una guerra dichiarata contro di noi nonostante, all'inizio, non avessimo considerato nessun altro un avversario. La nostra colpa fu e pure ora che sto scrivendo è così quella di non ignorarli, perché chi non riesce a cancellare nel suo animo l'ingiustizia che gli è stata fatta scende sullo stesso piano dell'offensore. A mia consolazione, la speranza che possa venir fuori qualcosa di buono dal risentimento». Frasi di questo tono stridono al lettore, che resta ignaro di fatti, protagonisti e circostanze, che probabilmente non lo riguardano neppure. Si stuzzica l'altrui curiosità morbosa, la latente voglia di scandalo, ma lasciandola poi senza appagamento, sull'onda di un tono da libro-rivelazione, che al momento opportuno non rivela quasi nulla.
Restano, per fortuna, le imprese tecniche e la geniale intuizione di scendere con gli sci i ripidi canaloni delle Alpi Apuane e dei monti della Garfagnana. Nessuno ci aveva mai pensato. Sciare sul ripido era allora cosa da specialisti delle Alpi, che parlavano già di sci estremo. Al sole, sulle rive del lago Baccio, dopo aver disceso i due canaloni del Triangolo e la Diretta nord-est del Giovo, è nata la definizione: sci estroso. «Fu il nome di un momento. Già l'indomani ci rendemmo conto che era necessario un termine più tecnico. Non si poteva metterla troppo sul piano goliardico». Ma come definire, poi, la discesa della Sciara del Fuoco sul nero pietrisco del vulcano Stromboli? E quella ricerca continua di nuovi itinerari, sempre inclinati tra i 45° ed i 60°?
Come in ogni bel gioco, la stagione del gruppo di intrepidi ha raggiunto velocemente l'epilogo, e proprio dopo la discesa più bella, la più attesa: la parete nord-est del Pisanino. E finita così, camminando senza nemmeno voltarsi a guardare ciò che avevano fatto: «Marco parlò di mare e di vela. Io dissi che mi sarebbe piaciuto vedere il deserto».
C'est la vie.

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