Abbazia di Novalesa

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Abbazia di Novalesa
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Abbazia di Novalesa ©2008 Maria Grazia Schiapparelli

Accesso

Prendere l'autostrada Torino-Frejus ed uscire a Susa Est; subito dopo si trova la prima indicazione a sinistra per la Novalesa, cartello marrone con scritta bianca. Proseguire diritto attraversando Susa; fuori dall'abitato, dopo un po', si incontra l'indicazione successiva per l'Abbazia e il paesino di Novalesa; ci si infila nella val Cenischia, ricca di cascate, e poco prima di Novalesa, occorre deviare a sinistra, sempre seguendo i cartelli, passare su di un ponticello, e imboccare la stradina che porta all'Abbazia; a destra, dopo un po', c'è un primo parcheggio, si può lasciare l'auto qui e proseguire a piedi, oppure continuare con l'auto fino di fronte al complesso monastico. La visita è guidata, perché le cappelle esterne sono chiuse, e solo la guida dispone delle chiavi.

Informazioni visita

Si prega di consultare la sezione orari nel sito

Parte generale

L'abbazia della Novalesa adesso è un monastero dove un gruppo di monaci prega e lavora: per chi ci arriva, sembra isolata, un'oasi fuori da questo nostro mondo convulso. Per capire veramente quale fosse la sua funzione in passato, bisogna collocarla nell'epoca storica in cui fu fondata. Innanzi tutto si trova su di una importantissima via di comunicazione, sulla Via Francigena, appena sotto il colle del Moncenisio, e quindi ospitava i pellegrini dando loro un tetto, una tavola, un letto, senza distinzioni di credo e nazionalità, oltre che, se richiesto, il conforto religioso; poi era anche luogo di istruzione.

Oggi la Novalesa ha una biblioteca di 30000 volumi con sezioni di particolare interesse, organizza incontri di studio e conferenze, ha un laboratorio molto apprezzato, che lavora al restauro di libri e documenti antichi. Nell'VIII secolo la regione intorno alla valle di Susa, con il Moncenisio e l'Haute Maurienne, era assoggettata al regno dei Franchi, e confinava con il regno Longobardo che si spingeva fino alle Chiuse, all'altezza della Sacra di San Michele. La fondazione dell'abbazia fu decisa da Abbone, governatore dell'area, con un documento del 726, conservato nell'archivio di Stato di Torino; in cambio di preghiere per sé, con il consenso delle autorità religiose del tempo, fondò un monastero intitolato si santi Pietro e Andrea su terre di sua proprietà e i monaci organizzarono l'accoglienza di pellegrini e viandanti. Contemporaneamente l'abate nominato riunì sotto la sua giurisdizione religiosa e civile i tre villaggi della val Cenischia, Venaus, Novalesa e Ferrere. Alla morte del fondatore, vennero accordati all'abbazia con testamento possedimenti nel regno dei franchi che si estendevano fino a Grenoble, Lione, Marsiglia. La posizione e il fatto che gravitasse nell'orbita franca, pare determinarono la vittoria dei Franchi contro i Longobardi di Desiderio presso le chiuse di Susa. Si narra addirittura di diversi soggiorni di Carlo Magno presso il monastero. Fu uno dei periodi più floridi per l'abbazia. Nel secolo IX, l'imperatore Lotario II confermò all'abate dell'abbazia, che era anche vescovo di Ivrea, gli antichi privilegi ed esenzioni. La prima regola monastica che si diedero i monaci fu quella di San Benedetto, voluta da Ludovico il Pio; la figura che dominò il secolo fu Sant'Eldrado, di famiglia molto ricca, indossò il saio e si adoperò a favore della popolazione della zona, tanto che l'eco della sua sollecitudine è rimasta nelle leggende. Questo fu uno dei periodi più floridi per l'abbazia, ma dense nubi si addensavano all'orizzonte; i Saraceni continuavano le loro scorrerie in Italia e in Francia, e dalla Costa Azzurra un'orda si stava dirigendo verso la Novalesa, probabilmente attirata dalle voci circa le ricchezze dell'Abbazia. L'Abate dell'epoca ne ebbe sentore, così radunò i paramenti e gli arredi sacri, e le centinaia di volumi, e si trasferì a Torino con i monaci, trovando ospitalità presso una chiesa nei pressi dell'attuale Consolata. Il marchese di Ivrea accordò protezione ai monaci, donando loro Breme, in Lomellina, dove si trasferirono, ormai fuori dall'orbita franca, italiani a tutti gli effetti. I Saraceni raggiunsero il convento, lo saccheggiarono, distrussero e incendiarono, facendo anche delle vittime tra la popolazione. La cronaca di questo periodo fu narrata da un monaco anonimo, che raccolse storia e leggende mescolando elementi franco germanici con altri italiani, creando un'opera singolare. Intanto nel XII secolo l'Abbazia di Breme aveva ricevuto la giurisdizione su tutti gli immensi possedimenti della Novalesa, e tramite il suo Abate esercitava il suo potere su di una zona vastissima, mentre la Novalesa cercava di risollevarsi. Nel XIII secolo l'Abbazia di Breme ottenne l'esenzione in campo civile e giudiziario, divenendo così soggetta solo alla Curia Imperiale, ma fu devastata più volte dai Milanesi. Tutto ciò fece sì che iniziasse la decadenza di Breme, consentendo alla Novalesa di cercare di ritrovare la sua autonomia, ma i monaci erano pochi. Nel XV secolo il monastero fu affidato in amministrazione (commenda) ad un francescano che era anche il confessore di Ludovico di Savoia. Questo istituto giuridico purtroppo faceva sì che i commendatari, facessero i propri interessi intromettendosi negli affari della comunità. Nel secolo XVI la Novalesa fu coinvolta nelle guerre tra Francia e Spagna, con continue ingerenze dei Savoia, che chiesero ed ottennero dai monaci una reliquia di San Lorenzo per donarla al re di Spagna desideroso di collocarla nella chiesa dell'Escorial. Il Papa Clemente VII intanto ripristinava alla Novalesa il titolo di Abbazia. Intanto si succedevano i commendatari, finché uno di loro, visto che i monaci erano più solo tre, prese contatti con i Cistercensi Riformati di San Bernardo, che arrivarono alla Novalesa quando c'era più solo un benedettino. Per un certo periodo si creò una situazione curiosa, con i monaci che pregavano in solitudine e i duchi di Savoia che si appropriavano dei benefici ecclesiastici, finché la Repubblica Cisalpina, costituita dopo l'arrivo di Napoleone, decretò la soppressione della Commenda e della Comunità ecclesiale: i frati furono costretti a trovare rifugio altrove, e i beni furono incamerati dallo Stato. Sembrava la fine dell'abbazia, ma ancora una volta la storia cambiò il corso degli eventi; Napoleone decise di potenziare l'ospizio al colle di Moncenisio perché gli serviva per far passare il colle ai suoi uomini, per cui lo affidò alla cura di abati di Tamié, e impose l'osservanza della regola benedettina, dando anche all'ospizio il convento dei cappuccini di Susa e l'abbazia di Novalesa. Nel 1818 l'abate che gestiva l'ospizio decise di riaprire la Novalesa, ma per breve periodo, perché nel 1855 il governo Sabaudo promulgò una legge che soppresse tutte le abbazie del Regno; dietro questa decisione, sicuramente c'erano motivi economici, servivano soldi per finanziare le guerre d'indipendenza... Pochissimi anni dopo, infatti, l'abbazia fu venduta ad un privato che la trasformò in stabilimento idroterapico, e in chiesa, al posto dell'organo, suonava l'orchestrina... L'iniziativa non ebbe successo, e il luogo divenne successivamente sede del Convitto Nazionale Umberto I di Torino. Nel 1973, finalmente la Novalesa fu acquistata dalla Regione; era in uno stato pietoso, e si iniziarono subito i restauri, e contemporaneamente, invitati dalla Regione, arrivarono quattro monaci benedettini dal convento di San Giorgio di Venezia; un po' per volta la preghiera e il lavoro tornarono a scandire le ore dell'Abbazia.

La visita

A destra, entrando, si attraversa un locale dove è collocato un plastico del complesso, si entra in un cortile e si raggiunge un piccolo locale dove i monaci vendono prodotti confezionati dall'ordine, libri, e dove è possibile iniziare la visita guidata; in teoria la visita è libera, ma gli affreschi più belli sono dentro la cappella di Sant'Eldrado, che è chiusa, solo la guida può accompagnare a vederli. Vicino al negozietto c'è anche un piccolo museo, le cui finestre si affacciano sul chiostro, che ha un bel pozzo, e che non fa parte della visita perché destinato ai monaci, che si occupano di restauro di libri e documenti antichi. La visita incomincia dalla chiesa; durante il restauro fu rinvenuto l'impianto della chiesa primitiva, risalente all'VIII IX secolo, e anche i resti di alcuni affreschi medioevali che si trovano a sinistra dell'altare maggiore. Il campanile risale al 1730 circa. Uscendo dal complesso e aggirandolo verso ovest, si rientra nel perimetro e si possono visitare alcune cappelle; la prima che incontriamo è quella del Santissimo Salvatore, ricostruita nella seconda metà del secolo XI. Vicino a questa cappella risiedevano i monaci più anziani; nella metà dell'ottocento fu ridotta ad abitazione privata, e gli affreschi andarono tutti perduti, salvo tracce sull'arco trionfale. Dal 1963 è aperta al culto a cura dell'Associazione Combattenti che ne ha fatto un sacrario. L'atrio era una torre costruita nell'VIII IX secolo e abbattuta fino all'altezza dei muri perimetrali della chiesa. Dietro questa cappella, in alto, c'è la cappella di San Michele, dello stesso periodo, che ha affreschi, ma essendo stata adibita a ricovero degli attrezzi, è in uno stato rovinoso ed ha urgente bisogno di interventi di restauro. Scendendo verso ovest raggiungiamo la cappella dei Santi Eldrado e Nicola, costruita nei secoli X e XI e preceduta da un atrio del XVII secolo. Gli affreschi, perfettamente conservati, sono dell'XI secolo; nell'abside c'è la dedica di un abate di Breme che governò la Novalesa tra il 1060 e il 1096, che consente di assegnare una data certa al ciclo. La figura più imponente del ciclo pittorico è quella del cristo Pantocrator, seduto su di una mandorla, che secondo l'iconografia del tempo è la cosa più dolce, l'interno di un guscio ruvido; ai lati Sant' Eldrado e San Nicola, del quale sembra che un soldato francesa abbia portato qui una reliquia da Bari. L'altare era una volta più centrato, quello attuale era invece un ossario che conteneva reliquie di martiri e beati novalicensi. La navata è idealmente divisa in due sezioni, separate da due colonne dipinte, unite in alto da un arco; una sezione, quella verso l'altare è dedicata al ciclo di San Nicola, l'altra, verso l'ingresso, a quello di Sant'Eldrado , alla loro vita, ai loro miracoli. Sopra la porta d'ingresso, all'esterno, c'è un bell'affresco del giudizio universale. Lasciando l'abbazia, a destra, in mezzo al prato, si vede la cappella di Santa Maria, dell'VIII secolo. Prima di lasciare l'abbazia, si può fare un giro nel piccolo negozio che vende mieli, tisane e altri prodotti fabbricati dai monaci; invece fuori, di fronte, c'è una piccola rivendita di prodotti locali, salumi e formaggi buonissimi...

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